Johnny Depp si fa aspettare, ma sa subito come farsi perdonare. Siamo nel cuore di San Lorenzo, al primo piano della riservata Soho House, e lui ha da poco mancato la conferenza stampa ufficiale («l'aereo dalle Bahamas è arrivato in ritardo») all'Auditorium Parco della Musica e poco dopo, sempre lì, l'aspetterà il red carpet. Centinaia di ragazze e ragazzi sono in attesa dall'alba, e qualcuno griderà persino il suo nome durante quest'intervista, nel tentativo di scorgere la sua sagoma dalla finestra. Tutti sanno che Jack Sparrow dei Pirati dei Caraibi, Willy Wonka della Fabbrica di cioccolato, Edward mani di forbice, è a Roma, tutti vogliono vederlo. Sessantuno anni, l'Olimpo di Hollywood, le cadute, i vizi, il talento immenso, Depp continua a catalizzare l'attenzione, solo come i grandi divi sanno fare. Alla Festa del Cinema di Roma l'attore è arrivato per presentare il suo nuovo film da regista Modi – Tre giorni sulle ali della follia, con protagonista Riccardo Scamarcio, un cameo di Al Pacino e il resto del cast così composto: Luisa Ranieri, Antonia Desplat, Bruno Gouery. Non è un biopic, non gli sarebbe interessato realizzarne uno, ma è la sua interpretazione dell'artista livornese Amedeo Modigliani. Depp lo segue per 72 ore di follia e bellezza, di delusione e speranza, in una Parigi d'inizio secolo: «In un certo senso può essere considerato il mio alter ego». Sarà al cinema da metà novembre, distribuito da Be Water.
Johnny Depp entra nella stanza sorridendo, indossa i suoi soliti occhiali da sole con le lenti azzurre, un completo scuro, scarpe con la zeppa. La camicia è aperta sul petto, decine i tatuaggi che si intravedono, diversi anelli alle mani, un bicchiere con ghiaccio e limone. «Questo film l'ho scritto e riscritto tanto volte», spiega, «ho messo dentro così tanto di me stesso che non potrei non esserci. Alcune di quelle cose che dice Modi io le ho dette davvero». Il perché lo spiega subito: «Non me ne è mai fregato niente del successo, non sono mai stato disposto a scendere a compromessi. Non ho mai accettato determinate cose, non sono un lacchè. Non è che sempre questa cosa mi abbia, come si dice, favorito ma non ho mai avuto quell'indole. E poi ora sono troppo vecchio per fare il servitore».
Sorride ancora, Johnny Depp, beve un sorso dal suo bicchiere, gioca con gli anelli sulle dita della mano destra e ascolta le urla che arrivano dalla strada. «Johnny, Johnny!», è un coro continuo. «In aereo con me ho portato tutti i parenti del Kentucky», scherza. Sui fan, la fama, il pubblico fedele, torna serio: «Non è un mio merito, nel senso che questo è il giro di carte che mi è capitato dalla vita. Da questo punto di vista, posso considerarmi fortunato di essere famoso. Non mi sono mai lamentato, sono l'ultima persona che potrebbe lamentarsi per essere riconosciuto. Sicuramente il successo a volte può sembrare strano o dopo 40 anni complicato da gestire, ma sono certo che se dovessi diventare normale sarei un grande stronzo».
Modigliani è stato un bohémien. Si può esserlo ancora? Depp ci gira un po' intorno: «Penso che sia il fascino e allo stesso tempo la maledizione, ma mi sembra che non ci sia più molto spazio per essere bohémien oggi. Io sono stato fortunato perché mio fratello maggiore ha 10 anni in più e mi ha fatto appassionare a On the road di Kerouac, ai dischi di Van Morrison. Mi ha fatto conoscere la musica che è arte, anche Bob Dylan dei primi tempi era bohémien. La scena beat per quanto mi riguarda va ancora di moda. E io? Preferisco pensarmi di un'altra epoca». E sulla necessità di toccare il fondo per esprimere al meglio la propria arte, l'attore comprende i tormenti del pittore italiano, li conosce bene: «Devi andare a finire verso il fondo, verso quello che tu percepisci come tale. Lì ti senti isolato, ti senti veramente come se fosse un qualcosa di definitivo. In realtà è come se avessi trovato la cantina, in un certo senso, ma non è tanto toccare il fondo quanto piuttosto andare a sbattere, scontrarsi contro i muri. Sto parlando in modo metaforico, ma io sono riuscito a trovare una stanza, il mio spazio, solo quando ho individuato il fondo e le altre pareti. E davanti a tutto questo sono riuscito anche a sorridere perché ho avuto la migliore educazione possibile che mi accompagnerà fino alla fine dei miei giorni».